1 Marzo 2013
AFLATOSSINE NEL MAIS, L’ONDA LUNGA DI UNA SPECULAZIONE PILOTATA

La stagione estiva 2012 verrà ricordata come una delle peggiori in termini di siccità degli ultimi anni, andando ad aggiungersi a quelle del 2003 e del 2006, convincendo anche i più ottimisti che il clima non sta cambiando ma è già cambiato, con tutto quello che ne deriva in termini tecnologici  e colturali, a partire da una fondamentale, oculata ed evoluta gestione del bene acqua da coniugare ad una cultura agronomica che deve cambiare anche dove non si pensava che mai sarebbe stato necessario irrigare. Nelle aziende, poi, che hanno puntato sulla cerealicoltura, in primis il mais, o su una zootecnia fatta con fonti energetiche alimentari prodotte in casa, attraverso mais, pastoni e  silomais, il 2012 verrà ricordato per la sciagura aflatossine, che ancora non ha finito di fare danni: quanto voluti, quanto pilotati, quanto conseguenza di precise speculazioni, lo cominciano a capire adesso, assistendo ad una anomala, subdola asfissia del mercato del mais veneto.
Ciò, però, solo quando gli imprenditori chiedono di vendere il proprio prodotto a prezzi correnti di mercato, magari a quei commercianti che l’hanno raccolto senza fare la rilevazione dei livelli di aflatossine ma chiedendo che il produttore controfirmasse una dichiarazione nella quale, senza dati in mano, attestasse che il mais conferito era fondamentalmente inquinato da livelli fuori norma di aflatossine: però, se quello stesso produttore, ora come allora, accettasse di vendere il suo mais a 16.40 €/q.le, allora il mercato non è più asfittico (abbiamo copie di fatture e date di vendita di prodotto a questi prezzi senza alcuna analisi di quel mais).  Ma andiamo per ordine. Le aflatossine sono micotossine  che si trovano naturalmente a certi livelli in svariate tipologie di alimenti e granaglie, che nel caso di andamenti climatici particolari possono registrare presenze in natura molto più alte diventando un pericolo per la salute umana. Nello specifico, il Regolamento CEE n. 1881/2006 definisce i tenori massimi nei vari alimenti e prodotti a partire dal mais, in cui le aflatossine B1 sono tollerate al di sotto ai 20 ppb (parti in peso per bilione) per terminare con il latte, in cui le aflatossine M1 possono arrivare ad un massimo di  5 ppb. E qui scatta la prima fase speculativa: diffondere artatamente l’informazione errata che i limiti stabiliti  erano diversificati da Stato Membro  a Stato Membro, e l’Italia (te pareva) era quello con i livelli più bassi: nulla di più falso e bugiardo! Seconda speculazione, che prosegue anche in questi giorni, sparlare di Coldiretti che non vorrebbe l’innalzamento comunitario dei limiti e per colpa di Coldiretti e delle sue prese di posizione il mercato sarebbe bloccato: nulla di più falso e bugiardo! Coldiretti ha chiesto al Ministero della Salute se poteva essere ammessa la previsione di eventuali deroghe con l’innalzamento straordinario delle soglie di aflatossine nel mais: la risposta del Ministero è stata che la richiesta di un provvedimento volto ad innalzare i limiti per le aflatossine nel mais sul territorio nazionale, seppur temporaneamente, risulta difficilmente perseguibile. Ma quale è la situazione? Diversificata in termini di rapporto produttore/centro di raccolta: ci sono essicatoi che hanno raccolto il mais senza fare analisi del prodotto ma molto tempestivi nel far firmare la dichiarazione sopra ricordata; essicatoi che, invece, si sono attrezzati per tempo per analizzare il mais ed eventualmente pulirlo con  adeguate, ripetute vagliature. E’ il caso del Consorzio Agrario di Padova e Venezia che, oramai, è arrivato a quota 10.000 analisi effettuate e che in piena trasparenza applica la seguente tabella di scarto sul prodotto mais in presenza di aflatossine: sotto i 20 ppb, nessun scarto; da 20 a 35 ppb, 10% di scarto; da 35 a 50 ppb, 15% di scarto; da 50 a 100 ppb, 20% di scarto; sopra i 100 ppb, massimo 25% di scarto.
Lo scarto va a coprire i costi di lavorazione e qualora ci fosse una differenza tra ricavi  e costi di lavorazione, verrà restituita alle aziende la parte rimanente. E il  mercato del mais? Completamente asfittico, con pochi sbocchi! Di questo chi non ha voluto gestire l’emergenza spostando il problema sui media, favorendo così speculazioni e tensioni, dovrebbe fare “mea culpa”. Eppure, continuano a rincorrersi voci sul fatto che mentre il nostro mais giace nei magazzini, mangimifici dai nomi eccellenti continuano ad importarne a rotta di collo, con certificati che mettono in evidenza la pulizia del prodotto: chiederemo agli stessi di aprirci le porte per prelevarne alcuni campioni. Se tutto è a posto non avranno nulla in contrario, sennò.........!?!!!! Ma l’emergenza non può fermarsi solo alla quasi paralisi del mercato, se il clima è cambiato è necessario che tutti gli attori del comparto facciano la loro parte: i produttori, attraverso l’ammodernamento delle tecniche di coltivazione e di irrigazione; i centri di raccolta, dotandosi di attrezzature al passo con i tempi per la vagliatura e la pulizia del prodotto; le Istituzioni preposte, sia intervenendo in modo drastico in presenza di strutture di stoccaggio non adeguate che vigilando rispetto all’insorgere di devastanti fenomeni speculativi come quello in atto in questo periodo, promuovendo nel contempo puntuali azioni di verifica rispetto al prodotto importato.

                                                                           Walter Luchetta - Direttore Coldiretti Padova

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