1 Dicembre 2014
L’OMELIA DI MONS. DE ANTONI ALLA GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTO

 
1. Siamo entrati in Avvento, per fare memoria del Signore che viene; siamo entrati nel periodo dell’ attesa, prima e fondamentale dimensione del tempo dell’ uomo, perché così è cominciata la vita del cosmo, in attesa dell’ atto separatore di Dio che dava inizio alla creazione; così è cominciata la vita dell’ uomo atteso da Dio stesso e la presenza della donna attesa da Adamo, così è iniziata la vita di ciascuno di noi desiderati e attesi da una famiglia.
Siamo entrati nell’ Avvento per attendere dunque anche noi Cristo.
Ma noi siamo proprio in attesa di Lui? Abbiamo motivi per desiderarlo?
Ci sono vari tipi di ragione per attendere qualcuno:
- una prima ragione è fondata sulla incompletezza della natura umana ( è l’ esperienza di Adamo): sentiamo bisogno di Lui?;
ne avvertiamo la mancanza?
- una seconda ragione può essere fondata sulla promessa che qualcuno ci ha fatto: dell’ arrivo di uno sconosciuto o di un figlio: ricordiamo la promessa? aspettiamo la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo come ci ha chiesto Paolo nella seconda lettura?
Pensato così allora il tempo dell’ Avvento è:
- il tempo del grembo,
- o il tempo dell’aurora che fa intravvedere il sole che non è ancora spuntato,
- oppure il tempo dei tempi lunghi, di cui parlano i profeti per riprendere con coraggio la strada per andare incontro al Signore.
Pensato così l’ Avvento chiede preparazione e riflessione, chiede desiderio di incontro.
Allora è giusto chiedersi: Noi attendiamo veramente il Signore?
Non è domanda superflua, perché può succedere anche ai credenti che non si accorgano che Egli sta per venire:
- o perché privi di domande e perché protesi verso qualcosa d’altro,
- oppure perché non lo in-tendiamo, cioè non tendiamo verso di lui, o non lo capiamo più e il nostro ingresso è altrove.
Ecco queste quattro settimane per accogliere l’Eterno che attraverso il Bimbo di Betlemme ci aiuta a recuperare l’alleanza con il divino e a scoprire compiutamente l’ umano. Maria, il grembo accogliente, ci insegni il modo migliore per prepararci al Natale.
2. Con lo sguardo rivolto al Signore che viene, non vogliamo dimenticare di guardare al passato per ringraziarlo in questa 64ª Giornata del Ringraziamento che non intende essere soltanto il momento del resoconto economico dell’annata agraria, fatto di numeri, percentuali e statistiche, ma un momento che assume un aspetto umano profondo nel momento in cui la comunità rurale lascia a riposo gli attrezzi e si ferma a raccogliere come esuli pensieri le preoccupazioni del momento.
Vogliamo ringraziare anche se l’annata appena conclusa non è stata facile e propizia, perché anche essa ha comunque molto da insegnare.
Ci insegna ad accettare le situazioni climatiche “atipiche”, ci dice ancora che siamo noi nelle mani della natura e non la natura nelle nostre mani, ed infine ci ricorda che comunque non c’è un’annata in cui non si produce niente, perché la terra ha una forza rigeneratrice al di sopra delle nostre aspettative.
Il ringraziamento diventa un invito all’universo intero a dire grazie a Dio che fa crescere l’erba per il bestiame e le piante che l’uomo coltiva, per trarre il cibo dalla terra, il vino che allieta il cuore dell’uomo e l’ olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo cuore, come dice il Sal 104, 14-15. Dobbiamo essere grati al mondo agricolo di questa felice intuizione, di aver valorizzato cioè questo periodo, quello novembrino, un tempo riservato ai traslochi dei coloni, alla loro emigrazione, ai trasferimenti, trasformando quelle giornate di sottomissione e di ricerca di un nuovo padrone in un inno di lode al Creatore.
La Giornata del Ringraziamento di questo 2014, si carica poi di un significato particolare, dal momento che precede di alcuni mesi l’apertura di Expo Milano 2015 dedicato a “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”, un tema di particolare rilevanza per il nostro Paese e non solo.
Esso invita a dedicare un’attenzione speciale al tema del cibo, quale dono di Dio per la vita della famiglia umana.
La terra, il lavoro, i frutti
Potremmo muovere da un’immagine biblica molto bella e dolce: quella della felicità dell’uomo che coltiva la terra, per poi mangiarne i frutti nella pace, benedicendo il Creatore per i suoi doni.
Già il racconto della creazione in Gen. 2 disegna, in effetti, questa alleanza dell’uomo con la terra.
Nel versetto 2,15, Adam è chiamato a coltivarla e custodirla. Il testo ebraico rimanda ad una sorta di servizio verso la terra, tramite la dignità del lavoro, che si fa subito anche custodia, affinché essa a sua volta serva l’uomo, donandogli il cibo per la vita. Custodi non tiranni della terra!
Il sistema agricolo contemporaneo appare però spesso distante da tale immagine. Infatti, nelle zone agricole di grande vastità, l’attività tende spesso a coinvolgere sempre più reti di imprese e comporta l’uso di tecniche anche complesse (si parla di “agricoltura industriale”). La finanza poi, purtroppo, si comporta con il cibo come una pura merce, su cui scommettere per trarne profitto, a prescindere dal destino di chi di esso vive. E sulla terra si specula! La sua stessa disponibilità è a rischio: spesso essa è destinata ad altri scopi o diviene oggetto di una lotta commerciale tra le economie più forti. E non mancano le pressioni crescenti sul piano della legalità: la salubrità dei prodotti è minacciata da abusi e forme di inquinamento che talvolta neppure percepiamo.
Non è più opportuno lasciare alla finanza il governo della nave.
Una situazione complessa, dunque, che mette a rischio la capacità dell’agricoltura di garantire sicurezza alimentare, per avere un cibo che possa nutrire gli abitanti del pianeta e che sia affidabile per chi lo consuma. Come uscire da tale situazione?
Prospettive
Forse il primo dato da tenere presente è che anche il nostro rapporto con la terra è un fatto culturale; come ogni realtà sociale, esso disegna modelli di organizzazione della società in cui anche la dimensione tecnica esprime valori e dà forma alla stessa relazione tra le persone. Si tratta, dunque, di educarci a pensare l’agricoltura come spazio in cui la giusta ricerca della remunerazione del lavoro si intrecci con la solidarietà, l’attenzione per i poveri, la lotta contro lo spreco, con un’attiva custodia della terra.
Si tratta però anche di operare per dar forma ad un sistema agricolo che dia corpo a tali istanze, sviluppando e promuovendo un modello di produzione agricola che sia attento alla qualità e alla salvaguardia dei terreni, in modo da garantire effettiva sostenibilità. La terra, in altre parole, va custodita come un vero e proprio bene comune della famiglia umana, dato per la vita di tutti. Essa deve mantenere come primaria la sua destinazione fondamentale – quella di essere, appunto, fonte di cibo per i suoi abitanti, facendo in modo che il rispetto e la ricerca della qualità dei beni salvaguardi la capacità della terra stessa di produrre per la generazione presente e per quelle future.
Occorre poi presidiare il territorio contro il degrado e la cementificazione, che lo rendono inospitale per la vita e sottraggono aree alla produzione di cibo. L’agricoltura infatti non è solo produzione finalizzata a nutrire la famiglia umana, ma anche custodia del territorio, che lo cura e lo riqualifica. Siamo chiamati ad essere custodi non tiranni. Quando però il territorio è privato della presenza del lavoro agricolo, è anche meno curato e più esposto a fenomeni di erosione. Tanto più in un tempo di mutamento climatico, segnato da eventi meteorologici di vasta portata, che richiedono – insieme ad un’adeguata impostazione etica e ad un necessario cambio culturale – “un grande impegno politico-economico da parte della comunità internazionale”. Essa deve attuare “una risposta collettiva basata su quella cultura della solidarietà, dell’incontro e del dialogo, che dovrebbe essere alla base delle normali interazioni all’interno di ogni famiglia e che richiede la piena, responsabile e impegnata collaborazione da parte di tutti, secondo le proprie possibilità e circostanze”.
Bisogna ridiventare audaci e non permettere che sia sottratta la terra per costruire quartieri che sembrano un set di parallelepipedi atti ad insegnare la geometria o a fare test di intelligenza. Il mondo agricolo deve ridiventare creativo con una sapiente regia urbana del verde, degli spazi vuoti, degli arredi invitanti. Il delirio di onnipotenza che divide la città e corrompe l’ habitat dei viventi, trovi negli agricoltori i coltivatori e i custodi creativi della terra. Riparare gli errori e curare le ferite non è meno cruciale che allargare i confini e creare bellezza.
Inoltre, la stessa agricoltura è anche un sistema di relazioni umane, che si sviluppano in stretto contatto con la terra ed i suoi ritmi. Riteniamo doveroso ringraziare in profondità i contadini e tutti coloro che, lavorando con amore e passione la terra, ci forniscono un cibo buono e sicuro. Da sottolineare in particolare la grande rilevanza delle famiglie rurali, testimoni concrete di un’alleanza con la terra che esse sono chiamate a rinnovare nelle pratiche produttive.
Sono tante le imprese che considerano tale rapporto come parte di una forma di esistenza che si tramanda di padre in figlio, di madre in figlia, nella quale la continuità si intreccia con l’innovazione. Papa Francesco – nella sua recente visita in Molise, parlando al mondo rurale – ha chiesto di maturare vocazioni per la terra, onde essere contadini per vocazione e non per costrizione! Non solo, deve farci riflettere un altro passaggio di quel discorso: “Il restare del contadino sulla terra non è rimanere fisso, è fare un dialogo, un dialogo fecondo, un dialogo creativo. È il dialogo dell’uomo con la sua terra che la fa fiorire, la fa diventare per tutti noi feconda. Questo è importante”.
Consumatori corresponsabili
La custodia della terra per nutrire il pianeta è impresa che richiama anche la responsabilità delle singole persone e delle famiglie: siamo consumatori, ma anche cittadini attivi e responsabili.
Educarci alla custodia della terra significa altresì adottare comportamenti e stili di vita in cui l’uso del cibo e dei prodotti alimentari sia più attento e lungimirante. Con le nostre scelte di acquisto del cibo possiamo offrire sostegno alle produzioni locali. Spesso è il modo di acquistare di ognuno di noi che decide il futuro di una piccola cooperativa locale, come a decidere del futuro dei nostri territori è anche – in prospettiva nazionale – il dato in aumento degli studenti che frequentano le scuole agrarie e il crescente dato di occupazione in agricoltura. Sono segnali positivi che spingono a privilegiare le coltivazioni biologiche e sostenibili, dedicando anche più attenzione a cosa mangiamo. È saggezza privilegiare la qualità rispetto alla quantità, sapendo che – nei prodotti a forte impatto ambientale e sociale – la qualità aiuta la sostenibilità.
Altrettanto importante è agire nelle nostre famiglie, per ridurre ed eliminare lo spreco alimentare, che nelle società agiate raggiunge livelli inaccettabili. Papa Francesco ha più volte denunciato la “cultura dello scarto”, cultura che “tende a diventare mentalità comune che contagia tutti”, rendendoci “insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame malnutrizione. … Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene però che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame!.
Uomini e donne della terra, in nome di tutto il resto dell’ umanità, vi diciamo: grazie!

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